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Pesce d'Aprile


La tradizione del pesce d'aprile, seguita in diversi paesi del mondo, consiste in uno scherzo da mettere in atto il 1º aprile. Lo scherzo può essere anche molto sofisticato e ha lo scopo di creare imbarazzo nelle vittime, in altri casi è solo un sistema per divertirsi fra amici.

Le origini del pesce d'aprile non sono note, anche se sono state proposte diverse teorie. Si considera che sia collegato all'equinozio di primavera, che cade il 21 marzo. Prima dell'adozione del Calendario Gregoriano nel 1582, veniva osservato come Capodanno da diverse culture, distanti come l'antica Roma e l'India. Il Capodanno era in origine celebrato dal 25 marzo al 1º aprile, prima che la riforma gregoriana lo spostasse indietro al 1º gennaio. In seguito a ciò, secondo una prima versione sull'origine di questa usanza, si creò in Francia la tradizione di consegnare dei pacchi regalo vuoti in corrispondenza del 1º di aprile. Il nome che venne dato alla strana usanza fu "poisson d'Avril", per l'appunto pesce d'aprile.
Ma dato che l'usanza è un po' comune a tutta l'Europa, alcuni studiosi sono andati un pochino più indietro nel tempo e hanno ipotizzato come origine del pesce d'aprile l'età classica, ed in particolare hanno intravisto sia nel mito di Proserpina che dopo essere stata rapita da Plutone, viene vanamente cercata dalla madre, ingannata da una ninfa, sia nella festa pagana di Venere Verticordia alcune possibili comunanze con l'usanza attuale.

http://it.wikipedia.org/wiki/Pesce_d%27aprile




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Le "mie" case


E' da tempo che cerco e fotografo case ed edifici che mi ricordano la Belle Epoque o qualsiasi altro periodo ottocentesco (e non).
Pubblico qui alcune foto scattate da me e dal mio ragazzo di queste belle abitazioni che vorrei tanto fossero mie ;-)




Lorenzago di Cadore (BL)





Pieve di Cadore (BL)



Ultimi aggiornamenti
Aggiungo altre foto di altre case che mi sono piaciute e che ho visto durante i miei viaggi.



Codigoro (FE)

Ultimi aggiornamenti
Una bella casa a Longarone (BL).

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Takanori Oguiss


Giappone, 1901 - 1986

Dopo aver frequentato l'Accademia di Belle Arti di Tokyo, Takanori Oguiss si trasferisce a Parigi nel 1927 dove diventa allievo di Foujita. Entra presto a far parte del circolo artistico parigino e nel 1933 inizia a lavorare in uno degli atelier di "Montmartre aux artistes".

Dipinge soprattutto vecchi quartieri pittoreschi e sobborghi di Parigi, ma anche nature morte e paesaggi. Durante il suo soggiorno di otto anni in Giappone, ha conseguito il riconoscimento nel suo paese natale, prendendo parte a molte mostre, come aveva fatto in Francia.

Takanori Oguiss è stato anche uno scrittore. Ha scritto e illustrato la "Nouvelles de Paris". 

La sua dedizione per l'arte della litografia è iniziata solo nel 1971. Alcune retrospettive su Oguiss si sono tenute già dal 1955 e tre anni prima della sua morte è stato istituito un museo nella sua città natale di Inazawa.





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"Al Paradiso delle Signore" di Émile Zola


Sto terminando la lettura di un altro bellissimo romanzo di Émile Zola, "Al Paradiso delle Signore" (titolo originale "Au Bonheurd des Dames").
Riporto qui di seguito la trama a cui accompagno alcune immagini.
Ne consiglio vivamente la lettura; il linguaggio di questo scrittore è superbo; il suo stile elegante e raffinato e lui si dimostra, in ogni romanzo di più, un grande osservatore dell'Uomo e della società.

La protagonista del romanzo è una giovinetta di nome Denise che dopo l'improvvisa morte dei genitori, negozianti, ha dovuto abbandonare Valognes, sua città natale, e trasferirsi a Parigi con i fratelli più piccoli, Jean e Joseph, fidandosi dello zio Baudu, un mercante che sostiene di aver trovato nella capitale francese la fortuna.
Presto però si accorge che lo zio è sull'orlo della rovina come tanti altri mercanti del quartiere che sono stati spiazzati dalla concorrenza fatta dallo spregiudicato Octave Mouret che ha aperto un grande e moderno magazzino dal nome "Al Paradiso delle Signore".
Octave Mouret, che è un grande conquistatore e anche conoscitore dell'animo femminile, riesce a sfruttare due sue amanti per ottenere azioni e alleati anche se poi, con grande cinismo, le abbandona quando costoro non servono più.
Denise, con grande dispiacere dello zio, pur di lavorare è costretta a farsi assumere come commessa al magazzino "Al Paradiso delle Signore" dove, grazie alla sua grazia e fierezza, conquista l'ammirazione degli uomini e l'odio delle donne ma continua a combattere con coraggio per sé e per i suoi fratelli.
Il pericolo maggiore per Denise è però la natura dei suoi sentimenti. Infatti ella si sente attratta fin dall'inizio da Mouret che, a sua volta, è rimasto attirato dalla grazia scontrosa ma determinata della ragazza. Ma quando Mouret le si rivolge avanzando proposte, Denise trova la forza per allontanarlo perché non sopporterebbe di essere per lui solamente un'avventura.
Octave, che soffre per questo rifiuto, cambia il suo abituale atteggiamento e appare più ingentilito. Denise intanto riesce ad affermarsi sempre di più nell'azienda fino a raggiungere un posto rilevante. Octave, che l'ama e l'ammira, si dichiara ancora una volta e dopo una tormentosa lotta i due si sposano felicemente.

http://it.wikipedia.org/wiki/Al_paradiso_delle_signore

Dal romanzo sono stati tratte due versioni cinematografiche, entrambe con titolo francese: una versione di Julien Duvivier nel 1930 come film muto e quella di André Cayatte nel 1943.






Locandina della versione cinematografica di Julien Duvivier, del 1930


Locandina della versione di André Cayatte del 1943
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Henri Chouanard


1883-1936

Non ho trovato nessuna informazioni riguardo questo fotografo.
Se qualcuno avesse qualche documentazione o annotazione degna di nota, prego di inserirla come commento o contattarmi per poterla pubblicare nel testo del post.

Pubblico qui alcune foto che sono davvero magnifiche.


Sul ghiacciao Grindelwald in Svizzera, 1910-1920 ca.



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Ippolito Nievo


In occasione di questa importante giornata di ricorrenza per i Centocinquant'anni dell'Unità d'Italia, ho deciso di dedicare un post del mio blog a un personaggio che da sempre mi ha incuriosito: Ippolito Nievo, nativo della mia regione, umile e purtroppo mancato troppo giovane.
Tra i nomi che fecero l'Unità, il suo si cita troppo poco ed è per questo che ho deciso di parlarne io.

Padova, 30 novembre 1831 – mar Tirreno, 4 marzo 1861

E' stato uno scrittore e patriota italiano dell'Ottocento.

Ippolito Nievo nasce a Padova, primogenito di Antonio, un magistrato della piccola nobiltà mantovana, e di Adele Marin, figlia della contessa friulana Ippolita di Colloredo e del patrizio veneziano Carlo Marin, intendente di finanza a Verona. I Marin sono titolari del feudo di Monte Albano, dove sorge il castello di Colloredo, a mezza strada tra Tricesimo e San Daniele, luoghi frequentati nell'infanzia da Ippolito quando, nel 1837, il padre viene trasferito da Soave nella pretura di Udine.

Nel 1841 Ippolito viene iscritto nel collegio del seminario di Sant'Anastasia di Verona come convittore interno poi, non sopportandone la disciplina, dal 1843 vi frequenta il Ginnasio come esterno. La sua solitudine è alleviata dalle visite del nonno Carlo, uomo colto, amico del Pindemonte e amante della letteratura, che diviene, per la lontananza dei genitori, la figura di riferimento e al quale dedica il quaderno dei suoi Poetici componimenti fatti l’anno 1846-1847, semplici poesie scolastiche in stile classicista. Quando nel 1843 muore Alessandro Nievo, il primogenito Antonio, padre di Ippolito, eredita la villa della famiglia con terreni agricoli a Fossato frazione del comune di Rodigo (Mn) e palazzo Nievo a Mantova con i relativi arredi, le collezioni d'arte e la ricca biblioteca. Il padre vi prende domicilio anche in seguito al suo trasferimento nel 1847 alla pretura della vicina Sabbioneta e Ippolito torna nella famiglia a Mantova, città dove è andato a stabilirsi, a trascorrervi gli anni della pensione, anche il nonno Carlo Marin. Qui prosegue gli studi al Liceo Virgilio, compagno di Attilio Magri (1830-1898) il quale, innamorato di Orsola Ferrari, ne frequenta la casa e vi introduce anche Ippolito, che vi conosce la sorella maggiore, Matilde (1830-1868), il suo primo amore.

Nel 1848 il giovane Ippolito, affascinato dal programma democratico di Mazzini e Cattaneo, partecipa alla fallita insurrezione di Mantova. Prudentemente, continua a Cremona gli studi con l'amico Attilio Magri e, l'anno dopo, la famiglia ritiene opportuno che si allontani per qualche tempo dalla Lombardia e si trasferisce in Toscana, prima a Firenze e poi a Pisa. Qui entra in contatto con gli esponenti del partito democratico di Guerrazzi: anche la Toscana è scossa dai moti risorgimentale e forse Ippolito partecipa a Livorno al moto del 10 maggio 1849 contro gli Austriaci, intervenuti per favorire il ritorno del granduca Leopoldo fuggito quattro mesi prima da Firenze.

Ritornato in settembre a Mantova, va a continuare gli studi a Cremona, dove nell'agosto del 1850 consegue la licenza liceale. In autunno si iscrive alla Facoltà di Legge dell'Università di Pavia e mantiene continui rapporti epistolari con Matilde Ferrari: le 69 lettere scritte dal 1850 ai primi del 1851, più che essere una sincera e spontanea comunicazione di un innamorato lontano, appaiono dettate da un'intima necessità di espressione lirica e scritte con lo sguardo rivolto a canoni letterari, finendo così per interessare «soprattutto per il modo in cui la materia sentimentale, sollevata talora a toni di enfasi appassionata, si atteggia in formule di chiara matrice letteraria, fin quasi a definirsi in un’autonoma sequenza di romanzo epistolare, aperta alle suggestioni che provenivano dai consacrati modelli del genere, dall’Ortis di Foscolo e dalla Nouvelle Heloïse di Rousseau». Ai primi del 1851, la relazione s'interrompe e contro di lei scrive un breve romanzo, Antiafrodisiaco per l'amor platonico.

Nel gennaio del 1852 iniziò un'attività di pubblicista nel quotidiano bresciano La Sferza. Alla fine dell'anno si iscrisse all'Università di Padova, riaperta dal governo austriaco dopo le agitazioni liberali e, recandosi spesso in Friuli, collaborò con la rivista L'Alchimista Friulano, dove pubblicò anche poesie che, raccolte in volume, furono pubblicate nel 1854 dall'editore Vendrame di Udine: una seconda raccolta viene pubblicata l'anno dopo.

Nel 1855, deluso dalla situazione politica italiana, lo scrittore si ritirò a Colloredo di Montalbano, dove si dedica attivamente alla produzione letteraria, delineando nella mente quello che fu il suo capolavoro, Le confessioni d'un italiano.

Continuò intanto la sua attività di pubblicista e si avvicinò al giornalismo militante milanese collaborando al settimanale Il Caffè. Nel 1856, a causa di un racconto intitolato L'Avvocatino pubblicato sul foglio milanese Il Panorama universale, fu accusato di vilipendio nei confronti delle guardie imperiali austriache e subì un processo nel quale patrocinò se stesso. Fu questa l'occasione per trascorrere lunghi periodi a Milano dove ebbe modo di partecipare agli stimolanti dibattiti letterari e politici che si svolgevano e di apprezzare il vivace clima culturale di quella città. Ippolito Nievo in quel periodo iniziò una relazione con Bice Melzi, moglie del cugino Carlo Gobio; le fu legato fino alla morte, indirizzandole numerose lettere durante l'inteso periodo delle imprese garibaldine.

Tra il 1857 e il 1858 Nievo, ritornato a Colloredo, si dedicò intensamente alla stesura del suo grande romanzo Le confessioni d'un italiano che verrà pubblicato postumo nel 1867 dall'editore Le Monnier con il titolo rivisto Le confessioni di un ottuagenario.

Gli eventi del 1859 e del 1860 resero più intensa la sua attività giornalistica e ne sollecitano i primi due saggi politici, l'opuscolo Venezia e la libertà d'Italia, ispirato dalla mancata liberazione della città, e il Frammento sulla rivoluzione nazionale. Si dedicò inoltre alla stesura di un nuovo romanzo, Il pescatore di anime, destinato a rimanere incompiuto.

Nel 1859 fu tra i Cacciatori delle Alpi di Garibaldi e l'anno seguente partecipò alla Spedizione dei Mille. Unendosi alle truppe garibaldine il 5 maggio del 1860 salpa da Quarto a bordo del Lombardo insieme a Nino Bixio e Cesare Abba. Distintosi a Calatafimi e a Palermo, gli venne affidata la nomina di "Intendente di prima classe" dell'impresa dei Mille con incarichi amministrativi, divenendo il vice di Giovanni Acerbi. Fu anche attento cronista della spedizione (Diario della spedizione dal 5 al 28 maggio e Lettere garibaldine).

Avendo ricevuto l'incarico di riportare dalla Sicilia i documenti amministrativi della spedizione, trovò la morte durante la navigazione da Palermo a Napoli, nella notte tra il 4 e il 5 marzo 1861, nel naufragio del vapore Ercole avvenuto al largo della costa sorrentina in vista del golfo di Napoli. Nel naufragio tutte le persone imbarcate perirono e né relitti né cadaveri furono restituiti dal mare.

Le circostanze misteriose del naufragio alimentarono ipotesi di un complotto politico. Nel romanzo Il prato in fondo al mare edito da Mondadori nel 1974, autore il pronipote Stanislao Nievo, il drammatico evento viene rappresentato come "una sospetta strage di Stato italiana, maturata dalla Destra e decisa dal potere piemontese per liquidare la Sinistra garibaldina: "strage" con la quale si sarebbe aperta la storia dell'Italia unita". In pubblicazioni successive sono state avanzate altre ipotesi all'origine dell'eventuale attentato come il ruolo giocato da finanziamenti internazionali, in particolari inglesi, indirizzati a favorire la spedizione dei Mille. Tra le opere che se ne sono occupate ci sono La tragica morte di Ippolito Nievo. Il naufragio doloso del piroscafo «Ercole» di Cesaremaria Glori e Il cimitero di Praga di Umberto Eco.

http://it.wikipedia.org/wiki/Ippolito_Nievo

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Nadar


Parigi, 6 aprile 1820 – Parigi, 21 marzo 1910

Nadar, pseudonimo con cui è conosciuto Gaspard-Félix Tournachon è stato un fotografo, giornalista, caricaturista e aeronauta francese. È noto soprattutto come pioniere della fotografia.

Nadar fu caricaturista per Le Charivari nel 1848. Nel 1849 creò Le Revue comique e Le Petit journal pour rire. Le sue prime fotografie risalgono al 1853; realizzò nel 1858 le prime fotografie aeree della storia, le prime foto scattate da un aerostato; sperimentò inoltre l'impiego della luce artificiale nella fotografia. Per le sue immagini vellutate si vide regalare il titolo di “Tiziano della fotografia”.

Dal 1863, Nadar costruì un enorme (6000 m3) pallone ad aria calda battezzato Le Géant ("Il gigante"), ispirando così l'amico Jules Verne a scrivere il romanzo Cinque settimane in pallone (Cinq semaines en ballon). Il fallimento di Le Géant lo convinse che il futuro dell'aeronautica sarebbe appartenuto ai mezzi più pesanti dell'aria, istituendo un'associazione per la loro promozione, nella quale rivestiva la carica di presidente e Verne di segretario. Fu anche fonte di ispirazione per il personaggio di Michel Ardan, protagonista del romanzo protofantascientifico Dalla Terra alla Luna di Verne.

Ritrasse in famose serie di fotografie e di caricature i celebri personaggi del suo tempo (Panthéon Nadar, 1854).

Nel suo studio di Boulevard des Capucines a Parigi nell'aprile del 1874 ospitò la primissima mostra collettiva dei pittori impressionisti, contribuendo alla nascita della loro fama.

Furono suoi clienti Baudelaire, Bakunin, Champfleury, Delacroix, Dantan, Doré, Nerval e nel 1885 fotografò Victor Hugo nel suo letto di morte. Gli sono inoltre attribuite la pubblicazione della prima foto-intervista (nel 1886) e la realizzazione di foto erotiche.

Scrisse articoli per «La Vogue», «Le Négociateun», «L'Audience», «Corsaire», «Le Charivari». Nel 1849 fondò la «Revue comique».

Scomparso nel 1910, Nadar fu sepolto nel Cimitero di Père-Lachaise a Parigi.

http://it.wikipedia.org/wiki/Nadar


Charles Baudelaire fotografato da Nadar nel 1855


L'atelier del fotografo al n° 35 del Boulevard des Capucines (1860)


L'editore Jules Hetzel
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Jacques Prévert


Neuilly-sur-Seine, 4 febbraio 1900 – Omonville-la-Petite, 11 aprile 1977

E' stato un poeta e sceneggiatore francese.

Jacques Prévert nasce nel dipartimento della Hauts-de-Seine, da padre bretone e da madre d'origine alverniate in un ambiente piccolo borghese e molto devoto.

In Bretagna trascorre diversi anni della sua infanzia e le tradizioni popolari bretoni eserciteranno sulla sua opera una grande influenza.

Prévert si dimostra fin dalla più giovane età amante della lettura e dello spettacolo. A quindici anni, dopo aver frequentato le scuole a Parigi e ottenuto la certificazione di studi, inizia a guadagnarsi da vivere con piccoli lavori, come quello ai grandi magazzini Le Bon Marché.
Nel 1920, il giovane inizia il servizio militare e raggiunge il suo reggimento prima a Lunéville, dove conosce "Roro", un ragazzo di Orléans e il pittore dadà Yves Tanguy (che sarà inviato poco dopo in Tunisia) e con essi forma un affiatato trio.

Di ritorno a Parigi nel 1922, Prevért si stabilirà con i suoi due amici artisti e col fratello Pierre, regista, al 54 di Rue del Château a Montparnasse che sarà presto il punto di riunione del movimento surrealista al quale partecipano Robert Desnos, Georges Malkine, Louis Aragon, Michel Leiris, Antonin Artaud, Raymond Queneau e il capofila André Breton, con il quale Prévert manterrà sempre ottimi rapporti malgrado la crisi e i dissensi che si verificarono all'interno del movimento surrealista nel 1929.

I suoi primi testi risalgono al 1930 quando il poeta li pubblica sulla rivista Bifur Souvenirs de famille on l'ange gardechiourme (Ricordi di famiglia ossia l'Angelo aguzzino).

L'anno seguente sulla rivista Commerce, dove lavora Giuseppe Ungaretti come redattore, esce il Tentative de description d'un diner de têtes à Paris-France (Tentativo di descrizione di un banchetto a Parigi, Francia) e recita in un film di Marc Allégret, Pomme de terre.

Tra il 1932 e il 1936 Prévert svolge un'intensa attività teatrale, lavorando con la compagnia "Gruppo d'Ottobre", della Federazione Teatro Operaio, che intende promuovere un "teatro sociale".

Per il gruppo 'Ottobre', Prévert fornisce un inno diventato popolare anche in Italia: 'Marche ou crève' (Marcia o crepa). Scrive 'La Bataille de Fontenoy' (La battaglia di Fontenoy) che viene rappresentata a Mosca nel 1933 durante una Olimpiade internazionale del Teatro Operaio alla quale partecipa anche come attore.

Nello stesso periodo inizia le sue collaborazioni cinematografiche producendo gli scenari di alcuni dei vertici poetici del cinema francese.

Scrive il testo e la sceneggiatura di L'affaire est dans le sac, diretto dal fratello Pierre e nel 1935 Le crime de Monsieur Lange per Jean Renoir.

Nel 1936 pubblica sulla rivista Soutes, La crosse en l'air e su Les Cahiers G.L.M. Evénement. Scrive i testi delle sue prime canzoni che, musicate da Joseph Kosma, verranno interpretate da famosi cantanti come Juliette Greco, Yves Montand, Mouloudji, Agnès Capri, Marianne Oswald e Les Frères Jacques.

Nel 1937 ritorna al cinema collaborando con Marcel Carné e scrive per il regista il copione di Drōle de drame (Lo strano dramma del dr. Molineaux) e nel 1938, dopo un soggiorno di un anno negli Stati Uniti a Hollywood, il soggetto del celebre film Le Quai des brumes (Il porto delle nebbie), interpretato da Jean Gabin, Michèle Morgan, Pierre Brasseur, Michel Simon.

Negli anni che vanno dal 1939 al 1945 egli continua la sua attività di soggettista e sceneggiatore scrivendo Disparus de Saint_Agil per Christian-Jacques e Pierre Laroche, Le jour se lève (Alba tragica) e Les portes de la nuit (Le porte della notte) (Mentre Parigi dorme) per Carné, Les visiteurs du soir (L'amore e il diavolo), per Carné e Laroche, Remorques e Lumière d'été per Jean Grémillon, Adieu e Lèonard per il fratello Pierre, Aubervilliers per Eli Lotar.
Di questi anni è anche il capolavoro uscito dalla collaborazione Prévert- Carné, Les enfants du paradis (Gli amanti perduti) con Jean-Louis Barrault.

Nel 1944 escono, su Les Cahiers d'Art, Promenade de Picasso e Lanterne magique de Picasso. Nel frattempo il poeta, dimesso dall'esercito nel 1939, aveva lasciato Parigi per trasferirsi a sud a la Tourette-de-lupe dove Joseph Kosma, il fotografo Trauner e molti altri lo avevano raggiunto per lavorare con lui alla realizzazione dei film. Farà ritorno a Parigi nel 1945, a guerra terminata.
Tra gli anni 1945 e 1947 Prévert riprende la sua attività teatrale con la rappresentazione di un balletto al quale collabora anche Pablo Picasso. Escono intanto due raccolte di poesie, Histoires e la celebre Paroles edizione curata da René Bertelé che avrà un enorme successo.

Lavora intanto alla sceneggiatura di alcuni film, tra cui La Bergère et le ramoneur (La pastorella e lo spazzacamino) per Paul Grimault che sarà ripreso nel 1979 e darà vita ad un cartone animato dal titolo assolutamente fantastico "Il re e l'uccello", Notre Dame de Paris di Jean Delannoy e La fleur de l'age, che rimase incompiuto e segnò la fine della collaborazione con Carné. Scrive intanto numerosi testi per bambini che, realizzati dal fratello Pierre, verranno rappresentati in televisione. Si sposa e nasce la prima figlia, Michelle.

Nel 1948, cade da una finestra degli uffici della Radio e precipita sul marciapiede dei Champs-Elysées rimanendo in coma per diverse settimane. Ripresosi si trasferisce con la moglie e la figlia a Saint-Paul de Vence, dove rimane fino al 1951.
Scrive nel frattempo un nuovo soggetto, Les Amants de Vérone, per il regista André Cayatte, e pubblica una nuova edizione del suo best-seller Paroles che erano state riunite per la prima volta nel 1945 da René Bertelé, la raccolta Spectacle e La Grand Bal du Printemps.

Nel 1955 ritorna definitivamente a Parigi, pubblica una nuova raccolta di poesie, La pluie et le beau temps e si dedica ad una nuova attività artistica, quella del collage, che esporrà nel 1957 alla galleria Maeght a Saint-Paul de Vence.
Nel 1956 il poeta pubblica il volume Miró con G. Ribemont-Dessaignes, con delle riproduzioni di opere di Mirò.
Nel 1963 pubblica un nuovo volume di poesie, Histoires, et d'autres histoires.
Nel 1966 esce l'opera Fatras, con 57 suoi collages.

Negli anni successivi si stabilisce nella sua dimora di Omonville-la-Petite, nel dipartimento della Manche, ma colpito da grave malattia conduce vita ritirata ricevendo solamente alcuni dei suoi più cari amici, come Yves Montand, Juliette Greco, Raymond Queneau, il regista Joseph Losey, l'attore Serge Reggiani e pochi altri.

L'11 aprile 1977 Prévert muore a Omonville-la-Petite, di cancro al polmone.

http://it.wikipedia.org/wiki/Jacques_Pr%C3%A9vert

Paris at night (Parigi di notte)

Trois allumettes une à une allumées dans la nuit
La première pour voir ton visage tout entier
La seconde pour voir tes yeux
La dernière pour voir ta bouche
Et l'obscuritè tout entière pour me rappeler tout cela
En te serrant dans mes bras.

Tre fiammiferi uno dopo l'altro accesi nella notte
Il primo per vedere intero il volto tuo
il secondo per vedere gli occhi tuoi
l'ultimo per vedere la tua bocca
e l'oscurità completa per ricordarmi queste immagini
Mentre ti stringo a me tra le mie braccia.

 
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La sindrome di Stendhal


La sindrome di Stendhal, detta anche sindrome di Firenze, è il nome di una affezione psicosomatica che provoca tachicardia, capogiro, vertigini, confusione e anche allucinazioni in soggetti messi al cospetto di opere d'arte di straordinaria bellezza, specialmente se sono compresse in spazi limitati.

Tale disagio è spesso riscontrato a Firenze, dove il locale ospedale di Santa Maria Nuova è almeno una volta al mese luogo di ricovero di pazienti colpiti da disturbi psicologici acuti. La malattia, piuttosto rara, colpisce principalmente persone molto sensibili e fa parte dei cosiddetti malanni del viaggiatore.

Il nome della sindrome si deve allo scrittore francese Stendhal (nom de plume di Henri-Marie Beyle, Grenoble, 23 gennaio 1783 - Parigi, 23 marzo 1842). Egli, essendo stato personalmente colpito dal fenomeno durante il suo Grand tour del 1817, ne diede una prima descrizione che riportò nel libro "Napoli e Firenze: un viaggio da Milano a Reggio":
    « Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere. »
   
La formulazione scientifica come tale della sindrome di Stendhal, sebbene numerosi casi fossero stati riscontrati dalla prima metà del XIX secolo, è stata proposta nel 1979, quando fu analizzata in un libro dalla psichiatra Graziella Magherini, che osservò e descrisse più di 100 casi fra i visitatori del capoluogo toscano.

La sindrome fu diagnosticata per la prima volta nel 1982 e, secondo quanto riportato, più della metà delle sue vittime sono di matrice culturale europea non italiani, che ne sono immuni per affinità culturale, ed i giapponesi. Fra i più interessati vi sono individui di formazione classica o religiosa che spesso vivono da soli.

Il fattore scatenante la crisi si ha spesso durante la visita ad un museo della città, dove il visitatore è colpito dal senso profondo di una o più opere, la relazione di queste con i loro creatori che trascende le immagini ed i soggetti; il che si manifesta inizialmente con comportamenti molto vari che possono giungere anche ad un'isteria che può spingere alla distruzione dell'opera. Inoltre il disagio causato dall'opera è generalizzato in un primo momento a uno stato di inettitudine diffuso sia mentale che fisico, che verrà poi sostituito dopo un periodo di "adattamento" a una nuova allucinazione; questo stato, spesso confuso con uno stato psicotico e non facilmente scindibile, si protrae per l'arco della vita alla visione di opere dello stesso autore o di quelle che la psiche del soggetto tende ad associare per contenuti, fino ad arrivare a una sorta di delirio causato da una sensazione di omnicomprensione, e libertà intellettuale generalizzata dovuta a una distanza minore tra l' "intelletto" degli autori e il proprio, colmando il divario, apparentemente, tra lo stato di finitudine provato con l'opera iniziale e questa nuova espansione cognitiva. In età moderna ne è responsabile anche la musica soprattutto moderna, di contenuto emotivo, causa di stati molto simili a deliri comuni e allucinazioni accostabili in preferenza in via di diagnosi alle psicosi.

http://it.wikipedia.org/wiki/Sindrome_di_Stendhal


Giovanni Pannini - Roma antica , 1857 ca. Una tele che rappresenta al meglio una delle tante mete toccate dai letterati e artisti nel Grand Tour e l'immensa quantità di conoscenza che da queste mete essi trassero.


Una delle sale di Palazzo Medici Riccardi a Firenze che da sempre "opprime" il visitatore con le sue maestose decorazioni in una sola stanza.
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Matilde Serao


Patrasso, 7 marzo 1856 – Napoli, 25 luglio 1927

Fi una scrittrice e giornalista italiana, protagonista del rinnovamento della pubblicistica italiana negli anni cruciali tra Ottocento e Novecento.

Oltre ad aver lavorato intensamente come giornalista, fu autrice di settanta opere. È stata la prima donna italiana ad aver fondato, e diretto, un quotidiano.

Matilde Serao nacque dal matrimonio tra l'avvocato napoletano Francesco Serao e Paolina Borely, nobile greca decaduta, discendente dei principi Scanavy di Trebisonda.

Il padre Francesco, avvocato e giornalista, aveva dovuto lasciare la sua città nel 1848 perché ricercato come anti-borbonico. Durante l'esilio in Grecia aveva trovato lavoro come insegnante. Conobbe e sposò Paolina Borely, colta, intelligente, angelica che sarà il vanto e il modello della giovane Matilde.

Il 15 agosto 1860 la famiglia Serao, con l'annuncio dell'ormai imminente caduta di Francesco II, tornò velocemente in patria. Trovò alloggio a Ventaroli, frazione di Carinola (CE).
La vita sociale di Matilde durante la prima adolescenza fu spensierata e serena.

Matilde seguì la famiglia a Napoli verso gli inizi del 1861, dove il padre cominciò a lavorare come giornalista a "Il Pungolo". Matilde respirò così fin da piccola l'ambiente della redazione di un giornale, rimanendone subito affascinata.
Nonostante questa influenza, e malgrado gli sforzi di sua madre, all'età di otto anni non aveva ancora imparato né a leggere né a scrivere. Imparò più tardi, solo in seguito alle vicissitudini economiche e alla grave malattia della genitrice.

Quindicenne, priva di titolo di studio, si presentò in qualità di semplice uditrice alla Scuola Normale "Eleonora Pimentel Fonseca", in piazza del Gesù. L'anno dopo, all'età di sedici anni, Matilde abiurò la confessione ortodossa per il cattolicesimo.
Dotata di grande volontà, in poco tempo e con ottimi profitti riuscì ad ottenere il diploma di maestra. Per aiutare il magro bilancio della famiglia, non esitò a cercare un lavoro stabile. Riuscì a vincere un concorso come ausiliaria ai Telegrafi di Stato; l'impiego la occupò per quattro anni. Nonostante buona parte della giornata fosse assorbita dal lavoro, la vocazione giornalistica e letteraria non tardò a divenire prepotente.

Cominciò dapprima con brevi articoli nelle appendici del Giornale di Napoli, poi passò ai bozzetti ed alle novelle firmate con lo pseudonimo «Tuffolina». A 22 anni (1878) completò la sua prima novella, Opale che inviò al Corriere del Mattino. Collaborava a diversi giornali, frequentava le redazioni, ma non era soddisfatta.

Matilde Serao scriveva incessantemente, lavorando con slancio, animata dalla propria ambizione, un'ambizione che sapeva di riscatto, di voglia di salire i gradini della scala sociale.

A 26 anni (1882) lasciò Napoli per andare alla "conquista di Roma". Nella capitale collaborò per oltre cinque anni con il Capitan Fracassa. Matilde, sotto lo pseudonimo «Ciquita» scrisse di tutto, dalla cronaca rosa alla critica letteraria. Inoltre si seppe ritagliare uno spazio non indifferente nei salotti mondani della capitale. Però la sua sagoma un po' tozza, la mimica ed i modi spesso troppo spontanei per l'ambiente salottiero, la risata grossa, non la favorirono nella considerazione degli altri. Durante quelle riunioni social-mondane frivole ed eleganti, la sua fama di donna indipendente suscitò più curiosità che ammirazione. Quelle belle signore oziose, dagli abiti delicati, raffinati e dai modi eleganti, non accolsero mai da pari la giovane scrittrice che spesso, anzi, divenne l'argomento dei loro pettegolezzi.

I pochi momenti felici del soggiorno romano furono, senza dubbio, le serate che passò accompagnata dal padre, nella redazione del Fracassa. Le lunghe discussioni, quelle voci, quegli odori, la ripagavano di qualsiasi amarezza e la facevano sentire importante, lusingata, viva.

Di diverso avviso sull'importanza e sul valore delle prime opere della Serao fu Edoardo Scarfoglio, l'uomo che conquistò prepotentemente le attenzioni della scrittrice. In occasione dell'uscita del libro che la rese famosa, Fantasia (1883), il commento di colui che legherà il suo destino a quello di Matilde non fu favorevole. Sul giornale letterario Il libro di Don Chisciotte Scarfoglio, infatti, scrisse: «... si può dire che essa sia come una materia inorganica, come una minestra fatta di tutti gli avanzi di un banchetto copioso, nella quale certi pigmenti troppo forti tentano invano di saporire la scipitaggine dell'insieme». Quanto al linguaggio adoperato nel libro, aggiunse: «... vi si dissolve sotto le mani per l'inesattezza, per l'inopportunità, per la miscela dei vocaboli dialettali italiani e francesi».

Più tardi la stessa Matilde riconobbe le ragioni di questo suo “non scrivere bene” nei suoi studi cattivi ed incompleti e nell'ambiente; ma ci tenne a precisare: «Vi confesso che se per un caso imparassi a farlo, non lo farei. Io credo, con la vivacità di quel linguaggio incerto e di quello stile rotto, d'infondere nelle opere mie il calore, e il calore non solo vivifica i corpi ma li preserva da ogni corruzione del tempo». Le ragioni del suo stile appassionato ed insieme frammentario erano da ricercare nell'urgenza di partecipare direttamente alla vita del lettore, fino a coinvolgerlo nella propria pagina, per esserne a sua volta coinvolta.

Il primo incontro tra Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao avvenne nella redazione del Capitan Fracassa. La Serao, dimenticando la stroncatura, rimase affascinata da quel giovane, intelligente e vivacissimo. Nacque una relazione che suscitò il pettegolezzo di tutta la Roma-bene. La coppia appariva tutt'altro che bene assortita: lui bello ed elegante; lei con la sua figura tozza, il suo vestire dimesso ed i modi popolari.

Ma cosa vedeva di speciale Scarfoglio in Matilde? Ecco cosa confidò ad un'amica in una lettera:
    « Questa donna tanto convenzionale e pettegola e falsa tra la gente e tanto semplice, tanto affettuosa, tanto schietta nell'intimità, tanto vanitosa con gli altri e tanto umile meco, tanto brutta nella vita comune e tanto bella nei momenti dell'amore, tanto incorreggibile e arruffona e tanto docile agli insegnamenti, mi piace troppo, troppo, troppo. »
   
Il 28 febbraio 1885 Matilde ed Edoardo si unirono in matrimonio. Fu l'avvenimento mondano del giorno. Gabriele D'Annunzio scrisse la cronaca della giornata proprio su La Tribuna. La coppia andò a vivere a palazzo Ciccarelli, in Via Monte di Dio. Ebbero quattro figli: Antonio, Carlo e Paolo (gemelli) e Michele.

Nonostante le gravidanze, il lavoro della Serao non conobbe mai sosta. Nei suoi anni romani pubblicò i seguenti romanzi: Pagina Azzurra, All'erta!, Sentinella, La conquista di Roma, Piccole anime, Il ventre di Napoli (1884), Il romanzo della fanciulla, ed altri.

Tra Matilde Serao ed Edoardo Scarfoglio non nacque solo un'unione sentimentale, ma anche un sodalizio professionale. Scarfoglio pensava da molto tempo a fondare un proprio giornale quotidiano. Insieme con Matilde realizzò il suo progetto: nel 1885 fondarono il Corriere di Roma. La moglie vi contribuì non soltanto con i suoi scritti, ma anche invitando a collaborare le migliori firme del momento. Tuttavia il giornale non decollò, per la concorrenza del più forte La Tribuna, il quotidiano romano allora più diffuso. La Serao, prendendo spunto da quell'esperienza, diede alle stampe un corposo romanzo, Vita e avventure di Riccardo Joanna, che Benedetto Croce definì "il romanzo del giornalismo".

La Serao, da provetta giornalista, sapeva bene che l'articolo di giornale comportava un senso di transitorietà, in cui lo stesso messaggio umano passava e moriva con la data in capo, con un'impronta quotidiana che solo un'elevata coscienza morale poteva salvare. Nella sua professionalità, che aveva bisogno di comunicare come coscienza di arte e di stile, la scrittrice, dietro il “Paravento” della nota anche di “vanità”, tradiva un sincero travaglio umano di fondo, che diventava ragione di stile.
Il giornalismo era per Matilde Serao terreno e matrice di fatti, di osservazioni, di costumi, che lei portava poi nella sua arte "maggiore", nei suoi romanzi, anche in quelli che la fretta sbrigativa di certa critica definiva “mondani”, come Cuore infermo (1881) e Addio amore (1890). Proprio in questa nota di “costume”, come partecipazione diretta alla realtà della vita e dell'essere è da riconoscere che “Donna Matilde aveva il giornalismo nel sangue”.
Le sue note di cronaca spicciola sulla moda, sui cibi, i gusti, lo sport, le nozze, le nascite, i lutti, il freddo, il caldo, le feste, d'alto lignaggio come le “festicciole” di quartiere, i balli, le novità del progresso, gli usi e costumi, le stagioni, il carnevale, le corse e tutte le grandi o piccole occasioni del nostro vivere quotidiano, cui faceva riscontro un'attenzione particolare a fatti e avvenimenti sociali, insieme al fatto minuto, riportano alla concezione stessa del pensiero e dell'arte di Matilde Serao.

Intanto il Corriere di Roma, che aveva avuto un'esistenza travagliata fin dalla nascita, era molto indebitato. Matilde Serao e il marito non sapevano come fronteggiare la cattiva situazione finanziaria. La fortuna fece loro incontrare a Napoli il banchiere livornese Matteo Schilizzi (che viveva nella città partenopea per questioni di clima), proprietario del quotidiano Corriere del Mattino. Schilizzi propose alla coppia di trasferirsi a Napoli, per continuare la loro avventura al suo giornale. Matilde ed Edoardo accettarono. Il banchiere si accollò i debiti del quotidiano romano (tra le 14.000 e le 15.000 lire) e il 14 novembre del 1887 il Corriere di Roma cessò le pubblicazioni. Poco dopo venne fuso con il Corriere del Mattino, dall'unione nacque il Corriere di Napoli, il cui primo numero uscì il 1º gennaio 1888.
La Serao si buttò a capofitto nella nuova impresa, diventando in poco tempo il dominus in redazione. Chiamò a collaborare al giornale firme prestigiose come Giosuè Carducci e Gabriele D'Annunzio.

Nel 1891 Scarfoglio e la moglie lasciarono il Corriere di Napoli, di cui cedettero il proprio quarto di proprietà ricavando 100.000 lire. Con questo capitale la coppia decise la fondazione di un nuovo giornale, che venne chiamato Il Mattino e uscì con il primo numero il 16 marzo del 1892.

L'anno 1892 si sarebbe rivelato, nella vita privata di Matilde, un anno denso di avvenimenti negativi. La Serao rimase scossa da un episodio destinato a suscitare grande scalpore.

Tutto cominciò quando Matilde, dopo un litigio col marito, decise di lasciare la città per una villeggiatura in Val d'Aosta. Durante l'assenza della moglie, Edoardo conobbe a Roma Gabrielle Bessard, una cantante di teatro, e tra i due cominciò una relazione. Dopo due anni Gabrielle rimase incinta. Scarfoglio rifiutò di lasciare la moglie per andare con lei. Il 29 agosto 1894 la Bessard si presentò dinanzi a casa Scarfoglio e, dopo aver deposto davanti alla porta la piccola figlioletta nata dalla loro unione, si sparò un colpo di pistola.

Il Mattino tacque la notizia autocensurandosi; i redattori della cronaca riuscirono anche a convincere i colleghi del Corriere di Napoli a non pubblicare nulla. Il 31 agosto però il Corriere, in aperta polemica con la coppia Scarfoglio-Serao, ruppe l'accordo e raccontò ai suoi lettori l'episodio. Il Mattino replicò il 1º settembre in cronaca, con un articolo dal titolo: Il fatto della Bessard e le bassezze del signor Schilizzi, dovuto sicuramente alla penna di Edoardo.
Gabrielle Bessard morì all'Ospedale degli Incurabili, il 5 settembre a mezzogiorno. Il fatto suscitò grande clamore in tutta Napoli. La figlia, Paolina, venne affidata da Scarfoglio a Matilde, che non esitò a prenderla con sé e ad allevarla.

Matilde aveva sempre compreso e perdonato rinunciando al proprio orgoglio ma, dopo qualche anno e dopo gli ennesimi tradimenti, era esasperata. Decise di lasciare definitivamente il suo amato. Scarfoglio, dal suo canto, tranne che per qualche superficiale parola di circostanza, si mostrò quasi insensibile alla vicenda.

Nel 1900 cominciò l'inchiesta del senatore Giuseppe Saredo su Napoli. La Commissione, divisa in più parti, indagò sul risanamento, le fognature, l'acquedotto del Serino, l'istruzione, i bilanci, ed altro. Gli intenti iniziali erano buoni ed utili ma il risultato finale risultò arbitrario e fuorviante e non lo si considerò né serio, né obiettivo. Tutto l'operare della commissione fu diretto, infatti, ad un solo scopo: cercare di coinvolgere Il Mattino nello scandalo dell'amministrazione Sulmonte. Scarfoglio, polemista ad oltranza ed abituato com'era alle più aspre battaglie politiche, non si lasciò intimorire. Lo accusavano di essere corrotto, di aver ricevuto dei soldi, in cambio di favori, di avere un tenore di vita superiore alle sue possibilità.

Non fu risparmiata nemmeno Matilde, accusata di aver ricevuto più volte soldi in cambio di raccomandazioni per posti di lavoro. Matilde soffrì molto per questa situazione. Tutto questo, unito alla non felice situazione coniugale, le dettero non poche pene. Scarfoglio naturalmente non perse occasione per ironizzare sul dolore della moglie. Poi però, davanti all'attacco sferrato contro Matilde, così la difese sul Mattino:
    « Crede il Saredo sul serio che Matilde Serao si sia fatta pagare 200 lire da una guardia municipale per una raccomandazione ad un assessore? No, egli sa che le sarebbe bastato un articolo al “Figaro”, per risparmiarsi quest'avvilimento! E crede che abbia venduto a un suonatore di clarinetto per 2.000 lire un impegno problematico? No. Egli sa che dieci giornali di quelli che con più acre ingenerosità gli han fatto coro, gliene offrono di più per un piccolo romanzo, opera di poche notti!
Egli dunque ha operato in piena ed assoluta malafede, e non ha tratto in questo tranello la moglie, se non perché sapeva che non bastava ferire il marito per uccidere il giornale. »
   
La difesa di Scarfoglio continuò poi scrupolosamente. All'accusa di vivere al di sopra dei suoi mezzi e di ricorrere quindi ad entrate occulte, replicò pubblicando entrate, uscite e redditi suoi, della moglie e del giornale.
    « Le scuderie della signora Serao si riducono ad una vecchia carriola per ripararsi dalla pioggia, in un paese dove non c'è in piazza una carrozza chiusa, e ad un cavallo dell'Apocalisse: carrozza e cavallo valgono l'una e nell'altro 500 lire, e che ella ha avuto anche prima della fondazione del Mattino. I miei attellages sono costituiti da una vettura automobile acquistata due anni e otto mesi fa per 5.960 franchi, imballaggi ed accessori inclusi. Che la Signora Serao non si sia mai rovinata in toilettes, che non abbia mai avuto un gioiello, sono cose di notorietà europea. »
   
Entro pochi mesi infatti scomparvero definitivamente dalle colonne del Mattino la firma e persino qualsiasi citazione di lei. Matilde, senza soldi e in possesso solo di dodicimila lire, estromessa dal Mattino cercò di dedicarsi ad una rivista: la “Settimana”; ma il risultato finale non fu convincente. Per lei il giornalismo era diventato una necessità ed ora si sentiva estromessa da tutto.

In tale dimensione, una semplice rubrica creata dalla Serao, “Api, mosconi e vespe”, finì per rivelare, sotto l'apparenza della cronaca “mondana”, un sofferto mondo umano, che completa il suo talento narrativo. Questa fortunata rubrica, che ogni tanto riapparve sotto altra veste nei quotidiani, l'accompagnò, con titoli diversi, per 41 anni. Dal Corriere di Roma, al Corriere di Napoli, al Il Mattino dove, dal 1896, prese il nome di Mosconi e infine sull'ultimo giornale fondato dalla Serao, Il Giorno.

I "Mosconi" si presentavano nell'insieme, come vivaci “capricci”, in una varietà originale di un genere a sé che stava tra la notizia, il dialogo, il ricettario, il capitolo, l'apologo, il bozzetto ed il “canto” tra popolare e salottiero.

Si rianimava così, la vita di tutto un popolo e di una città con spunti tratti in genere dalla vita-bene ma calata nella realtà quotidiana, i cui problemi di sempre facevano da cornice, non di rado drammatica, ai più arguti e vivaci “mosconi”. Ne risultò, con senso di partecipazione, la pazienza di un popolo allenato alla sofferenza, la sua familiarità con i santi, il suo epicureismo misto a malinconia, il suo accanimento nel contendere con il destino, l'amore per il vagabondaggio e il senso del transitorio di un popolo imprevidente e sognatore, che in fondo si accontentava di poco.

Il 13 novembre sul Mattino apparvero le dimissioni ufficiali della Serao da redattore del giornale. Ora era ufficialmente disoccupata. Diventare una redattrice di un qualunque giornale dopo essere stata fondatrice e condirettrice di un quotidiano, non era allettante. A questo si aggiunse l'umiliazione che Edoardo le aveva inflitto in pubblico e in privato.

Matilde tuttavia dimostrò notevole tenacia e volontà di rivalsa. Nel 1903 entrò nella sua vita un altro giornalista, l'avvocato Giuseppe Natale. Con Natale al fianco, fondò - prima donna nella storia del giornalismo italiano - e diresse un nuovo quotidiano, Il Giorno, diretta emanazione del pensiero e della sua personalità. Distinguendosi dal rivale Mattino di Scarfoglio, con cui entrava in diretta concorrenza, il giornale della Serao fu più pacato nelle sue battaglie e raramente polemico. Confortati dal buon successo del quotidiano, Matilde Serao e Giuseppe Natale convolarono a nozze. Misero al mondo quattro figli maschi. Poi, quando nacque una bambina, Matilde la volle chiamare Eleonora, in segno d'affetto per la Duse.

La grande guerra intanto si avvicinava rapidamente, ma Il Giorno sembrava essere lontano da qualsiasi iniziativa interventista, a differenza del Mattino. I due giornali assunsero una linea comune solo alla fine del conflitto mondiale.

Rimasta sola, dopo la morte di Edoardo Scarfoglio (1917) e del secondo marito, continuò con la stessa vitalità e passione il suo lavoro giornalistico e letterario.

Matilde morì a Napoli nel 1927 piegando la testa sul tavolo di lavoro, mentre era intenta a scrivere.

http://it.wikipedia.org/wiki/Matilde_Serao



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