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Il caso Brâncuşi


In occasione del 135° Anniversario della nascita dello scultore Constantin Brâncuşi, propongo qui una singolare vicenda che lo vede direttamente coinvolto.
 
Il caso Brâncuşi si riferisce ad una singolare vicenda giudiziaria che ebbe come protagonisti lo scultore rumeno Constantin Brâncuşi, un funzionario doganale americano e una scultura (oggi famosa): Bird in Space.
Due brevi premesse sono necessarie per meglio comprendere la dinamica dei fatti processuali:
- la ricerca artistica di Brâncuşi porta lo scultore ad una progressiva stilizzazione delle forme;
- nel 1910 diventa amico di Marcel Duchamp, il quale si incarica di promuovere le sue opere negli Stati Uniti.

Nel'ottobre del 1926, Brâncuşi, decide di esporre negli Stati Uniti una sua scultura del 1923, Bird in Space, dalle forme molto stilizzate (attualmente la scultura è stata valutata 27,5 milioni di dollari).
Brâncuşi sbarca a New York dalla nave Paris, accompagnato dall'amico Marcel Duchamp, diretti alla galleria d'avanguardia Brummer.

Un funzionario della Dogana (F.J.H. Kracke) apre la cassa e scopre, tra le altre cose, un oggetto di bronzo lucido su una base di metallo. Poiché non riusciva a vederci l'essenza del volo, cioè quello che l'artista voleva comunicare, il funzionario classificò l'oggetto come "Kitchen Utensils", destinato al commercio, rifiutando di applicare l'esenzione fiscale (duty free) prevista dal paragrafo 1704 del Tariff Act del 1922, relativo alle opere d'arte.

Duchamp e Brâncuşi si indignano, protestano, fanno presente che l'oggetto è una scultura ed è destinata al Brummer show, cercano di fare leva sulla notorietà dello scultore che aveva già esposto nel 1913 all' Armory show (una mostra minimalista), sulla evidente portata artistica dell'oggetto e anche sulla probabile ironia che avrebbero fatto i giornali definendo il maestro "scultore di cose insignificanti".

Ma non c'è nulla da fare: Brâncuşi si vede quindi costretto a pagare la cifra prevista dal paragrafo 399 per l'importazione di manufatti di metallo: il 40% del prezzo di vendita, ossia (su $240) circa $2,400. Il funzionario fuga ogni suo residuo dubbio (sull'introduzione di oggetti nel Paese a scopo di commercio, dunque tassabili) quando scopre che Brâncuşi ha venduto delle altre sculture.
Per Brâncuşi non c'è altra strada che quella del processo, ma alle udienze non compare personalmente: preferisce farsi rappresentare dai propri legali, Maurice Speiser e il suo socio Charles Lane. Inizia il processo Brâncuşi v. United States, U.S. Customs Court, Third Division che terminerà due anni dopo con la decisione del 26 novembre 1928.

I giudici sono George Young e Byron Waite. Sei testimoni depongono a favore di Brâncuşi: il fotografo Edward Steichen, lo scultore Jacob Epstein, l'editore della rivista The Arts Forbes Watson, l'editore di Vanity Fair Frank Crowninshield, il direttore del Brooklyn Museum of Art William Henry Fox ed il critico d'arte Henry McBride.

Marcus Higginbotham è l'avvocato che rappresenta la Dogana. Ci sono anche due testimoni per il Governo U.S.A.: gli scultori Robert Aitken e Thomas Jones. La Dogana difende l'operato del proprio funzionario, richiamando un precedente giudiziario: il caso United States v. Olivotti del 1916, dove si era riconosciuta la qualifica di "opera d'arte" solo a quei manufatti che sono "imitations of natural objects" (imitazioni di oggetti della natura). Viene esibita la scultura come reperto Exhibit 1 e comincia l'interrogatorio dei testimoni.

Il giudice Waite chiede a Steichen «Lei come lo chiama questo?», e Steichen risponde: «Lo chiamo come lo chiama lo scultore, oiseau, cioè uccello». Waite continua: «Come fa a dire che si tratti di un uccello se non gli somiglia?», e Steichen: «Non dico che è un uccello, dico che mi sembra un uccello, così come lo ha stilizzato e chiamato l'artista».
Waite incalza: «E solo perché egli (l'artista) lo ha chiamato uccello, questo le fa dire che è un uccello?» Steichen: «Si, vostro Onore». Ma Waite insiste: «Se lei lo avesse visto per strada, lo avrebbe chiamato uccello? Se lo avesse visto nella foresta, gli avrebbe sparato?» e Steichen: «No, vostro Onore». Durante il processo, tutti i testimoni di Brâncuşi difendono il lavoro di astrazione del maestro ed affermano che il nome dato all'opera non è rilevante quanto le proporzioni armoniose e la bella manifattura.

Al contrario, i testimoni governativi affermano che la scultura è too abstract (troppo astratta) ed è un abuso delle forme. Nel controinterrogatorio, l'avvocato Speiser chiede ad Aitken (esibendo la scultura): «Mr. Aitken, mi direbbe perché questa non è un'opera d'arte?», e Aitken: «Prima di tutto perché non è bella e poi non mi piace".

I legali di Brâncuşi sostengono che la scultura è un'opera d'arte originale, argomentando dalla legge sul copyright; affermano che il loro assistito non l'ha prodotta for a profit (esibendo una lettera di Brâncuşi a Duchamp anteriore alla mostra, dove lo scultore scrive di aver rifinito l'oggetto by hand, cioè con le proprie mani). Ma questo non fa ancora di Brâncuşi un artista agli occhi dei legali governativi, né dell'oggetto una scultura, perché nel Tariff Act del 1922, che dispone l'esenzione dal dazio per le opere d'arte, manca un criterio giuridico per individuarle e dunque i giudici devono fare ricorso ad elementi eterointegrativi.

Nella sentenza del 26 novembre 1928, i giudici assolvono Brâncuşi: Bird in Space è un'opera d'arte e come tale è esente dal dazio. In sentenza si legge: «L'oggetto considerato... è bello e dal profilo simmetrico, e se qualche difficoltà può esserci ad associarlo ad un uccello, tuttavia è piacevole da guardare e molto decorativo, ed è inoltre evidente che si tratti di una produzione originale di uno scultore professionale... accogliamo il reclamo e stabiliamo che l'oggetto sia duty free».
I giudici che accolsero il reclamo di Brâncuşi, commentarono la vicenda affermando: «che abbiamo o no simpatia per le idee nuove o quelli che le rappresentano, pensiamo che la loro esistenza e la loro influenza nel mondo... vada presa in considerazione».

Kracke (il funzionario doganale) in un'intervista all'Evening Post. spiega: «Se quello dice di essere un artista, io sono un muratore», ma in generale anche l'opinione pubblica era orientata a pensare che Brâncuşi come scultore lasciasse troppo all'immaginazione.
Lo stesso Steichen (che poi acquistò la scultura da Brâncuşi) affermò dopo il processo: «Bird in Space è stato il miglior testimone di sé stesso. È stato l'unica cosa che fosse chiara alla Corte: splendeva come un gioiello».

http://it.wikipedia.org/wiki/Caso_Br%C3%A2ncu%C5%9Fi


La Corte Suprema di Giustizia americana del 1925

1 commenti:

Anne ha detto...

"Les choses ne sont pas difficiles à faire, ce qui est difficile c'est de nous mettre en état de les faire."
Constantin Brancusi

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