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Guido Cadorin


Venezia, 1892 – Venezia, 1976

E' stato un pittore italiano.

A Venezia è allievo di Cesare Laurenti. Espone a Ca' Pesaro nel 1909 e nel 1911 all'Internazionale di Roma. Partecipa alle principali manifestazioni artistiche mondiali (Milano, Galleria Pesaro nel 1923, Amsterdam e Rotterdam 1924, New York 1925, Bruxelles 1930). Nel 1934 ha una parete alla Biennale di Venezia. Dal 1928 insegna all'Accademia di Venezia e nel 1936 è nominato titolare della cattedra di pittura. Nel 1938 e nel 1942 ha una intera sala alla Biennale.

Figlio d’arte, Guido nasce da una famiglia di intagliatori e scultori di origini cadorine. Arrivati a Venezia divennero una delle botteghe più antiche della Serenissima. Cresce nel palazzo di Fondamenta Briati, dietro alle Zattere, vicino al Campo dei Carmini, una casa che brulica di vita familiare, di incontri e stimoli (l’amicizia con il giovane Modigliani di passaggio a Venezia risale al periodo dell’adolescenza), di piante rampicanti e gatti selvatici. Il padre Vincenzo, scultore prediletto dalla regina Margherita, si accorge del suo precoce talento nel disegno e lo iscrive alla Scuola Libera del nudo dallo spiritualista Cesare Laurenti.
È il 1907. Guido è giovanissimo, appassionato e straordinariamente talentuoso. Il suo primo autoritratto, un carboncino dal tratto deciso, firma Guidus Cadorenus, e ce lo rivela.
Di compattezza volumetrica e straordinaria sintesi un altro autoritratto esposto, è del 1970. Sessant’anni di operato ininterrotto, non esclusivamente pittorico. Guido spazia nell’ambito delle arti decorative con commissioni prestigiose: Villa Zadra, l’arredamento di Villa Papadopoli con l’ architetto Brenno Del Giudice ( che sposerà la sorella Tullia) è di quintessenziale eleganza; poco più che trentenne riceve dal “Sommo poeta” l’incarico di congegnare la stanza dei sonni puri al Vittoriale: orchestra figure alate nel soffitto, dipinge sete, escogita mobiletti, progetta lampadari. Integro nella sua visione, Cadorin non cede alle fascinazioni convulse dell’epoca.
Opporrà un deciso rifiuto alla proposta di Marinetti di salire sul carro dei futuristi, annotando molto tempo dopo nel suo diario:” (…) io, spiritualista e casto vegetariano mi indigno e dopo aver letto i libri (stupidissimamente) li brucio e non rispondo”. Guido attraversa il secolo da sensitivo, capta correnti e incorpora naturaliter i segni di nuovi linguaggi che può assimilare alla sua visione: gli allunghi delle secessioni, un nuovo liberty, l’estetica estenuata della mitteleuropa. È talmente immerso nello spirito del suo tempo da riuscire ad oltrepassarlo in sintesi personalissima. Cosa che lo rende di sconcertante attualità. Straordinari e vibratili i ritratti di famiglia sono spesso dedicati: “alla mia cara mamma- settembre 1910” circonfusa da un’aura dolce e ironica, uno stelo di fragile orchidea fa capolino da una sua spalla. Minime volute concentriche ne svelano l’espressione prensile. Pittura su cartone, gesso, una particolare tempera veneziana, in stato di grazia. L’anno dopo, in verticale, quasi un manifesto di poetica, il ritratto di Livia “L’idolo”, ancora sua studentessa all’accademia poco prima di diventare sua moglie; sprigiona un’estaticità ferina. Magneticamente. Un arrendevole sorriso di attesa è nel segno a matita di “Livia incinta di Paolo” (1917); prossimo all’invisibilità. La Capigliatura densa, ramata, della sorella Ginevra, si staglia pensosa su un fondale di intonaco sberciato. La cascata rossa e “niagaresca” dei capelli di Tullia seduta, di profilo: ininterrotta ondulazione. La sorella Tullia ancora, molti anni dopo, già sposata a Del Giudice. Vigoroso, l’avambraccio solcato da vene in rilievo, lo splendido e mobile ritratto del figlio Paolo negli anni ’40.
Certe magiche vedute di Venezia, come quella su cartone in ritmo di grigie tegole ondulate, tattili, all’orizzonte le montagne. Altri ritratti dell’anima: a capo chino, discosta e raccolta la figura in kimono ritrae Alice Levi, “Alix”, sua grande amica, chiamata più tardi ad eseguire le decorazioni in seta degli arredi di Villa Papadopoli, a Vittorio Veneto. In stato di ferma vibrazione distacca l’aristocrazia di una donna trasparente nell’incarnato; dal suo corpo “srotola” un drappo arboreo “Signora e giardino primaverile”; lo sfondo violaceo ne trattiene i contorni. Tra i capolavori in mostra il celebre trittico del 1914:”fatto da me con ingenua idea di conversione” si legge nelle sue “Note per una biografia”; ha storia avventurosa e forti simbologie di avvertimento anche nel titolo:”Carne carne, sempre carne”. “Il canale” del 1921, inesprimibile sintesi di realismo intriso di magia: nei riflessi, nel taglio, nei contrappunti duplici e capovolti. Alcuni ulteriori ritratti: in vortice di matita, il profilo arioso e rapace “idea per Pound” del 1960. Uno schizzo a biro su cartone bianco, afferra l’essenza del poeta, a Venezia in quegli anni d’esilio. Dice tutto delle più intime pieghe di un D’Annunzio “senectute confectus” il ritratto a matita del 1924. Puro incantesimo è la sequenza delle lagune del 1921 che riprenderà in ipnotiche stesure negli ultimi anni. Spazi d’acqua immobile in lento mutare di luce. Meditazione e modulazione. Scardinano, con pochi, assoluti tratti, il cromatismo tardo romantico di tanta pittura veneta che le precede. E tanta che verrà, che non le eguaglia.

http://it.wikipedia.org/wiki/Guido_Cadorin
http://www.myvenice.org/Guido-Cadorin-raffinato-pittore.html



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